Inversione termica

Inversione termica

Si tratta di un fenomeno piuttosto diffuso, ma che nelle conche interne, strette e incassate tra le montagne, puo’ dar luogo a fenomeni così estremi da risultare sorprendenti, in grado di sfidare (apparentemente) la logica e la comprensione. Capita così, talvolta, di avere la temperatura sottozero con la formazione di brina nei fondovalle, mentre salendo di poche centinaia di metri, la temperatura è sensibilmente al di sopra dello zero, c’è ventilazione e non c’è neppure rugiada al suolo. Insomma, il mondo, apparentemente e temporaneamente, alla rovescia. Il fenomeno si sviluppa anche su vasta scala e in Italia abbiamo un esempio di grande vastità: la Val Padana. Questa vasta pianura, in sostanza, è un’ampia conca chiusa tra le Alpi, gli Appennini e il mare Adriatico. In inverno puo’ essere coperta da un tappeto di nebbia o di nubi basse. Al di sotto di questo strato di vapore spesso la temperatura è sensibilmente piu’ bassa di quella che nello stesso momento possiamo registrare ai colli o in montagna. Un’inversione termica su scala continentale si verifica poi (per lunghi periodi) laddove si sviluppano anticicloni termici, segnatamente in Siberia e nel Canada centrale. Quando l’aria si muove, invece, la situazione rientra negli schemi generali atmosferici e la temperatura decresce regolarmente con la quota.
Nelle aree interne del pesarese, tra le valli incassate, a volte nascoste tra i massicci montuosi, l’inversione termica si manifesta, talvolta in modo spettacolare, non tanto per l’estensione delle aree o per la sua durata, ma per l’estremizzazione del fenomeno: talvolta si guadagnano sei-otto gradi salendo di soli due o trecento metri. È il caso delle vallate che si trovano sul versante occidentale del Catria e Nerone, nelle aree piu’ interne della Valmetauro e del Foglia.
Questo ha un effetto sulla distribuzione della vegetazione, ben visibile tra gli alberi, con la presenza di specie termofile (amanti del caldo) fino a mille metri e la presenza di specie mesofile (amanti del fresco) a trecento metri o meno. La situazione della nostra area è tuttavia influenzata anche da altri fattori. Le Marche e, in varia misura, l’alto Adriatico, si trovano in una situazione geografica climatica di una certa particolarità. Il Pesarese, in particolare, con le sue coste rivolte a nord est ed i rilievi interni per lo più paralleli alla linea di costa, subisce in maniera piu’ diretta l’azione dei venti e delle brezze di matrice continentale (balcaniche o centro nord europee).
Se confrontiamo, ad esempio, la coltivazione di ulivo tra l’area pesarese e le aree ad occidente dell’appennino, vediamo che, nel senese, tale coltivazione puo’ arrivare a sfiorare, in certi casi, i settecento metri di quota. In area pesarese, invece, di rado tale coltura supera i duecento metri sul livello del mare e la maggior parte degli oliveti si ferma alle aree collinari litoranee e sub litoranee, fino a poco piu’ di cento metri sul livello del mare. Allo stesso modo, nel pesarese è possibile reperire rari lembi boschivi ed esemplari di faggio al di fuori del normale areale montano interno, a quote piuttosto basse e a pochi km dal mare. Si tratta di aree relittuali, ma la loro presenza, non imputabile a fenomeni di inversione termica, è comunque significativa di un clima tendenzialmente piu’ fresco di quello che si può trovare in altre aree peninsulari.
Anche la natura diversificata dei suoli determina la presenza di ambienti diversi, a parità di quota e di esposizione. L’area alto pesarese è infatti luogo di contatto e allineamento tra l’appennino settentrionale, costituito nella sua parte tosco romagnolo emiliana da rocce prevalentemente silicee (arenarie) ed argillose (marne) e quello centrale Umbro Marchigiano, costituito da calcari di età assai varia. Il punto di contatto tra i due segmenti geografici (e quindi tra i due litotipi) è stabilito presso il valico di Bocca Serriola, ma le due catene, per un tratto, si sovrappongono geograficamente, con la dorsale silicea ad ovest e quella calcarea a est ed il succitato valico risulta essere il punto nel quale tale parallelismo ha termine (o inizio). Non vi è area di transizione e il passaggio dall’una all’altra litologia (composizione delle rocce) è netto, talora spettacolare nella sua immediatezza (si passa dall’una all’altra matrice in pochi metri). I suoli arenaceo marnosi tendono ad essere piu’ ricchi di acque superficiali e a risultare piu’ umidi. I terreni calcarei tendono invece ad avere grandi bacini di accumulo sotterraneo, ma poca acqua in superficie. Ne consegue, ad esempio, che nelle aree calcaree in estate l’erba ingiallisca, mentre poco lontano nelle aree silicee, si mantenga verde per tutta l’estate. La secchezza relativa dei suoli calcarei fa si che alcune specie mediterranee, nelle esposizioni giuste, possano spingersi nelle aree interne ed anche in quota (Leccio, Fillirea, ecc.), mentre nelle aree silicee tali specie tendono ad essere rarefatte o del tutto assenti. Infine, vi è la notevole piovosità delle aree montane, esaltata dagli effetti di sbarramento indotti dal rilievo, che condiziona ulteriormente ( e sensibilmente) la distribuzione della vegetazione. La concorrenza di tutti questi fattori (sopra illustrati), fa si che sulle montagne calcaree del pesarese si osservino situazioni che, ad un occhio esperto, si palesano come autentici paradossi bio climatici, come ad esempio la convivenza, in aree limitate, di specie francamente mediterranee con specie tipiche del centro e nord europa; fino alle situazioni estreme, come su alcune aree del Catria e del Nerone (segnatamente alcuni versanti con esposizione nord est del massiccio del Catria) , dove vegetano limitate (e sbalorditive) formazioni arboree miste ad alto fusto di faggio e di leccio.
Notevoli anche situazioni come quelle della gola del Bosso dove, in virtù dell’esposizione a nord del fianco del Monte Petrano, la faggeta scende quasi ininterrotta dai 1169 m. slm fin sotto i 300 m.slm, a contatto con le specie igrofile ripariali e specie sub mediterranee, in un tripudio di biodiversità.
A generare ulteriore diversificazione vi è poi l’area della dorsale del Monte Carpegna e dei Sassi Simone e Simoncello. Tale dorsale è geologicamente diversa da quelle descritte e espone una litologia tutta propria, costituita da calcari liguri di varia età, arenarie, calcareniti e altre tipologie litologiche. Sul piano geografico, tale dorsale costituisce un contrafforte e non fa parte della dorsale appenninica principale, essendo ad essa tangente e portando il rilievo fin nei pressi della costa adriatica.
Per tutte queste ragioni, l’area Pesarese ed in particolare quella appenninica, possiede una spiccata variabilità geomorfologica, paesaggistica ed ambientale.

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