L’itinerario dei Brancaleoni
Il sentiero ha la sua origine nel Palazzo Brancaleoni, imponente costruzione che domina il “Borghetto”. L’itinerario è’ decisamente vario: ambienti rupestri, boschivi, torrenti e calanchi argillosi; è piuttosto facile: niente salite eccessive e con la maggior parte del tracciato quasi in piano; è interessante, anche per la presenza di ruderi molto antichi (segnatamente i resti dell’antico eremo di Morimondo e il mulino soprastante) e del piccolo borghetto di Bacciardi; e, in più, vi è l’apertura (o la conclusione) del percorso che è decisamente particolare: il sentiero dei folletti di Piobbico, che consente una bella veduta “aerea” sulla verticale del palazzo Brancaleoni e del Borghetto, con tanto di “balcone panoramico”. Infine, il percorso è della giusta lunghezza (non troppa, non troppo poca) per poter soddisfare chiunque. Unica avvertenza: il sentiero è lineare; un anello sarebbe troppo lungo e soprattutto poco godibile, perché il ritorno sarebbe su strada. Conviene quindi attrezzarsi, avendo cura di lasciare un mezzo per il rientro in località Rocca Leonella.
Il centro storico di Piobbico
Si tratta di un vero “gioiello”, splendidamente conservato e ben separato dalle nuove abitazioni. Il “Burghett” si adagia sul rilievo della collina, appena sotto la mole del Palazzo Brancaleoni, un maniero seicentesco, piuttosto insolito per queste aree, che ci proietta mentalmente in un ambientazione manzoniana da “promessi sposi”. Concorrono a creare queste atmosfere le ripidissime scarpate del Nerone e soprattutto dell’incombente Montiego che si “precipita” sul Candigliano, le cui acque turchesi, che circondano il borgo, danno al quadro la pennellata finale.
I Brancaleoni
Il Castello fu fatto erigere dai Brancaleoni, una famiglia nobile di antiche origini (le tracce risalgono a prima del mille), anche se incerte, dato che viene tuttora discusso se trattasi di origine germanica o italica. La contea era anomala, in quanto “allodiale”, ovvero governata (all’inizio) da un conte “senza titolo” ma, altro fatto anomalo, proprietario assoluto della contea. Tra i progettisti, spicca il nome del Brandani. All’interno, fantastiche fughe di corridoi ed archi e una loggia / balcone davvero strepitosa, probabilmente realizzata dal Barocci.
L’Eremo di Morimondo
L’Eremo, di dimensioni ridotte, si innalzava su due piani almeno e sorgeva su un piccolo rilievo ’altura a ridosso del torrente (non per niente ancora oggi detto “Foss da l’Erma”) .
Si presume sia stato fondato dai Cistercensi (eremiti che vivevano secondo la regola di Fonte Avellana, modellata da S. Pier Damiani) nel medioevo.
E’ attestato al XI secolo, ma il primo documento risale al 1205, una bolla papale di Innocenzo III con la quale viene data la protezione apostolica agli eremiti seguaci della regola avellanita, (“Dilectis filiis L. Eremitae et fratibus eius de radice Montis Neronensis”)
Secondo alcuni, il nome dell’eremo s’ispirerebbe alla casa madre cistercense, in Francia, e Morimondo deriverebbe da “Morimond”, nome di una della cinque correnti dei monaci Cistercensi
Il piccolo eremo arrivo’a possedere nel corso del XIV secolo ben tre parrocchie: S. Sofia dell’Orsaiola, la Pieve del Colle nella diocesi di Urbino, S. Pietro in Prato a Cagli.
In questo periodo si ha la massima fioritura, grazie anche alla protezione della famiglia dei Brancaleoni di Piobbico (pare che alcuni membri di questa famiglia si fecero seppellire qui).
Nel XV secolo progressivamente declinò, come molte altre istituzioni monastiche della penisola, e l’eremo diventò priorato.
L’eremo fu abbandonato definitivamente probabilmente dopo il terribile terremoto del 1781, che devasto’ tutta l’area del Nerone. Tuttavia, la chiesa fu sconsacrata solo nel 1800.
Le leggende
Le leggende che avvolgono l’area dell’Eremo, pur presentando versioni, divergenti, si accentrano sulla figura della Taddea, una fanciulla molto bella, della quale si era innamorato, corrisposto, il figlio del Conte. Questo però, come in uso all’epoca, era stato promesso ad una sua pari, che non aveva mai visto. Per evitare che sarebbe dovuta andare in sposa ad un suo pari, ma che era in realtà innamorata di un pastorello locale, con il quale aveva condiviso la fanciullezza e con il quale aveva un rapporto intenso. Allora il Conte, per evitare che i due continuassero a vedersi, fece rinchiudere la fanciulla nella Rocca di Leonella, lontana dal palazzo e dal ragazzo. Ma la fanciulla riuscì a fuggire con un cavallo e galoppo’ sul bordo delle alte rupi della zona. Quando i soldati stavano per raggiungerla, spiccò un salto nel vuoto da una rupe, col cavallo. Ma né lei, né il cavallo furono mai ritrovati. Disperato, il figlio del Conte la cercò invano. E la rupe comincio’ a colorarsi misteriosamente. La leggenda vuole che quando il ragazzo la chiamava dando le spalle alla rupe, il cielo si oscurasse e piovesse. E che, ancora oggi, se qualcuno la chiama tre volte ad alta voce volgendo le spalle alla balza, il cielo s’adombra e arriva la pioggia. E le gocce di pioggia solo le lacrime della Taddea, che cadono dalle nubi, sulle quali ancora lei cavalca. Ma questa, è solo una delle versioni. Leggende che accrescono il valore del luogo, coprendolo con un alone di mistero.
Il sentiero
(Per questo itinerario puo’ essere utile lasciare un mezzo per il rientro a Bacciardi o nei pressi del cimitero di Rocca Leonella, in base al punto da cui si intende rientrare).
L’itinerario parte dal Palazzo Brancaleoni (Sentiero 405, ehttps://webgis.altavalledelmetauro.pu.it/it/map/escursionismoperpassione/) e scende al “Borghetto” fino al ponte sul Candigliano, attraversando il quale si raggiunge piazza S. Antonio e da qui, seguendo via Fontanelle si scende sul bordo del fiume dove si superano le impressionanti “rave” (ghiaioni) del Montiego, che producono ogni anno scariche e accumuli di ghiaie rosse sul sentiero (che rimane sempre facilmente percorribile). Si segue quindi il sentiero che costeggia il fiume e si arriva a ridosso di una casa colonica, davanti alla quale si staglia il palasport di Piobbico. Si prosegue a sinistra e si passa dentro ad un canalone chiamato “la Fossa”, che scende dal Montiego, che si oltrepassa su un ponticello di legno. Si prosegue sul sentiero che ricalca la forma del rilievo, mantenendosi a pari quota. Vi è un tratto in cui il sentiero passa sulla verticale del fiume. La via è abbastanza larga, ma occorre fare attenzione, perché la scarpata è alta e ripida. Poi si passa accanto al depuratore di Piobbico, che offre spunti didattici e permette di osservarne il funzionamento a distanza ravvicinata. Si giunge infine all’innesto del sentiero sulla statale 257 Apecchiese, c.ca un km a valle di Piobbico. Si percorre la strada per un tratto molto breve, ma comunque pericoloso per la mancanza di spazio laterale sul ponte che supera il Candigliano e per il fatto che la strada è piuttosto trafficata e in quel tratto i mezzi tendono ad avere una velocità elevata. Insomma, occorre prestare attenzione.
Alla fine del ponte vi è un parcheggio frequentato da escursionisti e rocciatori. Qui si attraversa la strada (Sentiero 208, ehttps://webgis.altavalledelmetauro.pu.it/it/map/escursionismoperpassione/) che scende su una spiaggia ghiaiosa generata dal Candigliano, che d’estate puo’ risultare piuttosto frequentata. Si individua immediatamente la confluenza del Fosso dell’Eremo e si entra nella Valle omonima, che si presenta subito imponente, con alte pareti rocciose che incombono su uno stretto fondovalle piatto, nel quale serpeggia cristallino il Fosso dell’Eremo. Si risale facilmente la valle, fin qui priva di dislivello, fino alle pareti rocciose attrezzate per l’arrampicata sportiva, che incombono verticalmente sul fosso. Poco dopo vi è un’altra bella parete, molto colorata dalle ossidazioni naturali ed in contropendenza. E’ la rupe della Taddea. Poco dopo vi è una leggera salita ed appaiono le affascinanti rovine dell’Eremo di Morimondo, fondato dai cistercensi in epoche remote ed abbandonato definitivamente nel corso del 1700. Ne rimane poco ( e quel poco meriterebbe maggiore attenzione) ma comunque il luogo è affascinante, con le sue finestre gotiche in rovina, in un contesto selvaggio.
Subito dopo vi è una piazza carbonaia (dove un tempo si allestivano le carbonaie), e quindi il primo di una lunga serie di guadi, tutti abbastanza facili. I guadi sul torrente caratterizzano questo percorso: prima di uscire dalla valle se ne contano 17. Il sentiero costeggia il corso d’acqua, piccolo ma gonfio nelle stagioni intermedie, quando l’attraversamento puo’ risultare piu’ difficile. Ogni tanto si apre una piccola radura assolata sul fondovalle, che permette di osservare l’impervio (e fascinoso) paesaggio circostante.
Ad un certo punto si raggiungono i resti dell’antico Mulino (può sembrare incredibile che potesse esserci un mulino in un luogo così impervio e remoto). Subito dopo vi è una deviazione, superata la quale (andando diritto) il sentiero comincia a salire, spostandosi su delle impervie formazioni marnoso-argillose. Si sale ancora ed in breve si raggiunge il piccolo villaggio di Bacciardi, abitato fino agli anni settanta del secolo scorso e ora composto per lo più da seconde case e strutture per turismo. Nonostante questo, conserva il fascino dei tempi andati, con la sua minuscola piazzetta, la sua fonte, le viuzze in salita. Attraversato il paese si giunge sulla provinciale Piobbico-Secchiano di Cagli dove ci attende la macchina per il rientro. Oppure si percorre la strada per Piobbico fino al cimitero di Rocca Leonella, se abbiamo lascito la macchina in questa località.
(Possibile variante panoramica: È possibile effettuare un’interessante variante all’inizio dell’itinerario, che permette una visuale a volo d’uccello sul centro storico e sul fiume. Raggiunta piazza S. Antonio, anziché percorrere via Fontanelle, si tiene la sinistra e al bivio per Urbania, si sale fino ad imboccare il “Sentiero dei Folletti”. Da qui si costeggia il fianco del Montiego percorrendo alcuni belvedere che permettono un bel colpo d’occhio sul Borghetto, sul castello Brancaleoni e sul Candigliano. Il sentiero scende e si reimmette quasi subito sul 405).
La forra del Presale
Ma, per chi ha buone gambe e tempo, il percorso puo’ essere allungato ulteriormente, percorrendo la fantastica vallata del torrente Presale, che altro non né che la parte piu’ alta (ovvero sorgentizia) del Fosso dell’Eremo stesso.
La forra è spettacolare, con pareti verticali che incombono su un torrente roccioso incassato e costellato dalle caratteristiche “marmitte dei giganti”; eppure è verdissima e completamente forestata e si inserisce in profondità nel massiccio del Nerone.
Un intenso carsismo caratterizza tutta l’area, dove affiora il calcare massiccio, che si presta in modo particolare alla carsificazione e quindi alla formazione di caverne, doline e a tutto il corollario dei fenomeni carsici. Provenendo da Baciardi lungo la caratteristica strada montana Secchiano – Piobbico, ci si trova dapprima alla base del fosso Cornobuio, dove c’è una fontana nella quale è possibile approvvigionarsi di acqua fresca. Proseguendo lungo la strada, dopo una curva ci si trova di fronte all’imponente Forra del Presale, che come una sorta di scalinata verde si incunea sul fianco nord orientale del Nerone. Si raggiunge l’imbocco del sentiero e si comincia a salire. La salita è abbastanza ripida e non brevissima; dopo un po’ si incontra una deviazione sulla sinistra, che in poche decine di metri ci porta all’ingresso della “Grotta del Borghetto”, una bella caverna dall’ aspetto assai singolare, essendo priva di parte del soffitto. Si tratta di uno dei caratteristici fenomeni di consunzione così tipici del Nerone, che vanta diversi archi naturali su entrambi i versanti, tutti derivanti dal disfacimento delle rocce ad opera dell’acqua (e del tempo), ad eccezione delle parti piu’ dure. La caverna è visitabile, a patto di rispettare alcune precauzioni, come ad esempio non urlare al suo interno, visto che il pavimento è cosparso da frammenti di soffitto, che evidenziano distacchi anche assai recenti.
Superato il Borghetto, sempre salendo, ci si trova a passare accanto ad una parete letteralmente butterata di fori, dai quali a volte esce acqua. Si tratta di un’altra potente manifestazione del carsismo sulle rocce calcaree. Dopo aver raggiunto la parte piu’ alta del sentiero, si scende con una serie di tornanti all’interno della valle, fino al fosso. Una ampia carbonaia permette una comoda sosta. Risalendo un diverticolo del sentiero è possibile raggiungere un punto molto suggestivo, in cui si intersecano due cascate, impostate su due fossi che scorrono su lati diversi della montagna.
Quindi si inizia la marcia di uscita dalla forra e si passa su una stretta passerella agganciata ad una parete rocciosa e sospesa nel vuoto. Proseguendo, il sentiero si allarga d’improvviso, fino a divenire una vera e propria strada forestale. La strada termina nei pressi del cimitero di Rocca Leonella, subito a ridosso del valico del “Traforato” e poco lontano dalla chiesa della Rocca. E qui conviene avere un automezzo per il rientro a Piobbico.
L’Orso delle Caverne (Ursus spelaeus Rosenmuller) sul Monte Nerone
Nella parte alta della forra, in un riparo sotto roccia, vi è una piccola caverna, chiamata un tempo “grotta delle vacche”, perché al suo interno vi erano grosse ossa coperte di calcare che, date le dimensioni, si pensavano appartenere a dei bovidi. Ma negli anni ottanta la grotta fu visitata dagli speleologi che si resero conto di trovarsi di fronte ai resti, talvolta assai ben conservati, di decine di orsi delle caverne, probabilmente gli ursidi piu’ grandi mai esistiti, estinti alla fine dell’ultimo glaciale. Una scoperta eccezionale, che ha permesso di ricostruire lo scheletro di un grande orso che, da vivo, doveva pesare piu’ di una tonnellata. Insomma, la valle del Presale era molto frequentata da questi grandi orsi, tanto da diventarne una sorta di “cimitero”. Purtroppo tutti i resti ossei sono stati asportati e, anche se alcuni si trovano nelle raccolte di Piobbico ed Apecchio, nella maggior parte dei casi i reperti si trovano in collezioni private.