La valle del Bosso geologia e paleontologia

La gola del Bosso si trova nella provincia marchigiana di Pesaro Urbino, nel comune di Cagli, a poca distanza dal confine con l’Umbria. Il Bosso è un fiume a carattere torrentizio, che nasce dall’unione dei torrenti Certano, Giordano e Fiumicello, provenienti dal Monte Nerone, i quali si incrociano nell’abitato di Pianello, frazione di Cagli; è un affluente del fiume Burano, al quale si unisce a Cagli per poi gettarsi nel Candigliano, ad Acqualagna; a sua volta questo si unisce al fiume Metauro all’altezza di Calmazzo per poi sfociare nel mar Adriatico, a Fano. Una gola è un taglio creato dal fiume attraverso la montagna. Caratteristica comune delle gole è infatti la presenza di un fiume che scorre in una valle stretta o addirittura assente, imprigionato tra le pareti della montagna che lui stesso ha scavato, in tratti diritti alternati ad altri meandriformi. Lungo la gola del Bosso si trovano gli abitati di Secchiano e Pianello, due graziosi e antichi paesini le cui case, abitazioni di gente comune, furono costruite anticamente con sassi di fiume e pietra di montagna. Il fiume e la gola dividono il monte Petrano (1165 m. slm) dal massiccio del monte Nerone, che con la sua altezza di 1525 è tra le cime più alte della regione Marche.

COME ARRIVARCI
Per chi viene dalla costa, la strada migliore è la superstrada che da Fano porta a Roma, la SP3. All’altezza di Cagli ovest si esce e si procede sulla provinciale SP29 Cagli-Pietralunga in direzione Secchiano. Una volta superato il centro abitato, poco fuori dal paese, sulla sinistra, si trova l’imbocco del sentiero 274 e, seguendo il corso del fiume, ci troviamo all’interno della parte più stretta della gola. Il sentiero conduce fino alla sorgente di San Nicolò, una risorgiva in cui, come dice la parola stessa, il fiume riappare dalla terra, dopo aver percorso un tratto sotterraneo; nei punti in cui sono presenti le risorgive, si possono notare delle bollicine nel fiume. Se invece lo percorriamo in macchina, tra Secchiano e Pianello possiamo osservare i vari affioramenti geologici della cosiddetta “formazione del Bosso”.

ASPETTI NATURALISTICI
Alcuni tratti del fiume Bosso, facilmente accessibili dalla strada, sono frequentati da turisti che trovano qui l’ambiente fresco e rilassante, caratteristico degli ambienti di montagna e godono delle sue acque limpide. Ma attenzione, questo ambiente è molto delicato. Le acque, definite di categoria A per temperatura e grado di ossigenazione, sono fondamentali per garantire l’habitat idoneo a diverse specie faunistiche di pregio; specie esigenti che svolgono il loro ciclo vitale solo in ambienti come questi, che quindi vanno preservati dall’eccessivo sfruttamento, soprattutto in alcuni mesi dell’anno. Solo un uso responsabile o regolamentato della risorsa può assicurare equilibrio all’ambiente, mantenendolo inalterato nel tempo. L’ittiofauna comprende poche specie di pesci. Tra queste alcune specie sono costantemente presenti in maggiore o minor misura: Trota di torrente (Salmo trutta fario), Barbo (Barbus barbus plebejus), Anguilla (Anguilla anguilla), Cavedano (Leuciscus cephalus), Vairone (L. souffia muticellus), Scazzone (Cottus gobio Cobite (Cobitis taenia), Triotto (Rutilus rubilio), Lasca (Chondrostoma toxostoma). Si teme che lo sfruttamento eccessivo del fiume possa danneggiare temporaneamente il fondale, con ripercussioni dapprima sulla componente bentonica del fiume, costituita da varie specie di macroinvertebrati, di cui alcuni pesci di nutrono e, successivamente, sul resto della catena alimentare, dunque sui pesci.
Il versante del Petrano, orientato a N-O degrada velocemente verso il fiume e nonostante la sua esposizione, è caratterizzato fino a una quota di circa 700 m. da un bosco a prevalenza di Leccio (Quercus ilex), il quale ben si adatta alle pendici scoscese e al terreno calcareo; carpino nero (Ostrya carpinifolia), cerro (Quercus cerris) e varie tipologie di aceri completano il paesaggio. Il sottobosco in questa area è basso e scarso ed è costituito da poche specie erbacee, cespugli di pungitopo, specie non eliofile (sciafile), in grado di vivere al di sotto del fitto fogliame di questa sempreverde. Il fiume scorre a una quota di poco sopra i 300 m. slm. Nelle zone pianeggianti, lungo il fiume, utilizzate fino a qualche decennio fa a fini agricoli e ora dismesse in quanto piccole e scomode, si stanno facendo spazio ginestre, Berretta del prete (Euonymus europaeus), ginepri, Biancospino (Crataegus monogyna), Scotano (Cotinus coggygria) e altre specie arbustive, caratteristiche delle zone ecotonali, cioè di quelle zone di transizione in cui, la mancanza di interventi da parte dell’uomo, consente alla natura di riprendersi i suoi spazi. Queste specie arbustive, amanti della luce (eliofile) preparano il terreno al bosco e, come nel caso del ginepro, proteggono semi di specie arboree che nel corso di pochi decenni si sostituiranno a queste, soffocandole.
Il versante del Monte Nerone si presenta a tratti più brullo, lecci, aceri e cerri le specie arboree predominanti. Percorrendo la provinciale si possono notare, in diversi punti, affioramenti di rocce appartenenti alla serie umbro-marchigiana, qui particolarmente interessante proprio per la possibilità di poter vedere a cielo aperto le varie formazioni nell’ordine stratigrafico di deposizione. L’area è infatti stata definita dai geologi, un Atlante a cielo aperto.

ASPETTI GEOMORFOLOGICI
L’Appennino umbro-marchigiano non è costituito da una sola catena montuosa, ma da un fascio di catene parallele che si estendono da nord-ovest a sud-est. La catena centrale, pur avendo cime meno elevate, costituisce il displuvio, ovvero la linea di spartizione delle acque tra est e ovest e da questa catena hanno origine quasi tutti i corsi d’acqua che sfociano nel mare Adriatico. Nella loro corsa verso il mare, questi torrenti hanno cercato la strada più comoda ed essendo la catena occidentale, calcarea, costituita da rilievi più alti, non riuscendo l’acqua ad oltrepassarli, si è insinuata nelle spaccature e faglie che caratterizzano queste formazioni e ha scavato la roccia. Per questo motivo la catena occidentale marchigiana è così ricca di gole e forre più o meno larghe e profonde, che l’acqua ha scavato nel corso di milioni di anni. La differenza tra gola e forra (o orrido) è data dalla larghezza del passaggio che il fiume è riuscito a scavare. La forra è molto più stretta e il corso d’acqua che l’ha formata potrebbe anche non essere più attivo, una gola invece è sempre attraversata dal corso d’acqua. Entrambe hanno spesso andamento meandriforme e in entrambi i casi, il corso d’acqua ha riportato alla luce strati di roccia che si sono depositati in epoche diverse, creando un ambiente ricchissimo di informazioni scientifiche, che agli occhi attenti di geologi e paleontologi svela come e quando questa zona è stata interessata da movimenti tettonici più o meno importanti e sulle variazioni climatiche. Grazie ai ritrovamenti di fossili in diversi strati, appartenenti ad ere diverse, sappiamo ormai per certo che per milioni di anni tutta questa zona delle Marche è stata sommersa dal mare in un ambiente molto simile alle Bahamas, caratterizzato da un basso fondale e temperatura mite.

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