Eremo di San Nicolo’ di Bosso

EREMO DI SAN NICOLO’ DI BOSSO

L’eremo di san Nicolò attualmente è solo una serie di ruderi, sparsi in un territorio più o meno ristretto. Chi identifica il “bello” con strutture imponenti, architettonicamente ben bilanciate o artisticamente ricche di particolari, resterebbe certamente deluso da un luogo così apparentemente semplice, anonimo e abbandonato, ma questo sito, da sempre lontanissimo dai clamori della città o della vita mondana, silenzioso e quasi completamente inglobato dalla vegetazione, è tuttavia molto suggestivo e gli appassionati di Storia e soprattutto di storie, sapranno certamente emozionarsi anche solo nell’intravedere quel poco che emerge, mentre ci si inoltra nella natura selvaggia di questa stretta valle. Quello che rimane oggi sono pezzi dei muri delle già minuscole cellette in cui piccoli grandi uomini, vocati alla vita monastica, vivevano le loro giornate, permeate di lavoro, preghiera e misticismo. Se saprete volare alti, sulle ali dell’immaginazione, potrete sentire il freddo pungente delle giornate invernali, l’urlo del vento che sferza i rami del bosco o il canto del fiume in estate, l’odore del muschio, il canto degli uccelli o semplicemente il silenzio della notte.

LA VALLATA DELLA ROMITA

L’eremo o meglio, quello che ne resta, sorge sulla riva destra del fiume Bosso, nel tratto tra Pianello e Secchiano, tra l’attuale vallata della Romita e la sorgente di S. Nicolò. Il termine “romita” viene dall’italiano Eremita e la posizione, lungo il fiume non è casuale per un eremo, in quanto le strade che collegavano i centri abitati della valle, erano allora situate più in alto, vicino ai crinali, lasciando quindi a questi spazi, tutta la tranquillità e la solitudine di cui i monaci avevano bisogno. Le celle utilizzate dagli eremiti erano piccole, circa 2 metri quadrati e avevano intorno un piccolo fazzoletto di terra coltivata a orto da cui il monaco traeva il suo misero sostentamento; probabilmente allevavano anche qualche piccolo animale come capre e galline, da cui ricavavano latte e uova. Le celle erano sparse per tutta la vallata e i monaci vivevano quindi isolati anche tra loro, ma non mancavano momenti di condivisione, che si svolgevano nel Cenobio, posto in posizione baricentrica. La vita si svolgeva per gran parte dell’anno in solitudine, intorno alla propria cella, dividendosi tra preghiera e lavoro. Le riunioni nella chiesa di S. Nicolò, avvenivano soltanto in alcune circostanze, probabilmente nei giorni festivi e nelle solennità principali. Alcune celle erano invece ricavate murando a secco delle pietre davanti agli anfratti naturali, piuttosto frequenti nella zona, ed anche di tali celle è possibile ancora oggi osservarne alcune.
Sulla zona si erge uno sperone di roccia, chiamata “Pajar del Diavolo” (pagliaio del diavolo). La sua conformazione, dovuta all’erosione del tipo di roccia di cui è composto, le ha impresso una forma molto particolare intorno al quale sono nate tante leggende più o meno spaventose, tramandate oralmente, delle quali purtroppo si è ormai persa memoria.

CENNI STORICI

L’eremo compare per la prima volta in un documento del 1085, una dichiarazione del conte Ugone di Riccardo e di sua moglie Gemma, al priore del monastero di Fonte Avellana, Aliprando dalla quale si evince che l’eremo di S. Nicolò era all’epoca dipendente dal monastero di Fonte Avellana.
Pochi anni dopo, nel 1093 l’eremo ricevette una ingente donazione da parte di due benefattori: Ugone Siccardi, vescovo di Cagli, già abate del monastero di S. Geronzo e il conte Falconino, suo fratello. Nel 1132, l’eremo di S. Nicolò, così arricchito, passò dalle dipendenze di Fonte Avellana a quelle del monastero di S. Geronzo per effetto di una permuta.
Nel 1180 due famiglie nobili di Cagli, i Siccardi e gli Acquaviva, dispongono una nuova donazione verso questo eremo. Questo indica che all’epoca, si nutriva una particolare venerazione per quest’eremo.
Terminata la fase fiorente di espansione, nel 1290 papa Nicolò IV, unì il monastero di S. Geronzo e quindi anche S. Nicolò, che ne faceva parte, per due terzi di beni alla mensa vescovile e per un terzo a quella dei Canonici. Per quanto riguarda S. Geronzo, il motivo era la presenza di pochi monaci; non ci sono evidenze che facciano comprendere se anche S. Nicolò avesse gli stessi problemi.
Alla fine del secolo XIV, dall’esame dei documenti relativi al pagamento delle decime, appare ormai chiaro che la chiesa, e quindi l’eremo, non hanno più alcuna autonomia, ma rappresentano unicamente una modesta fonte di rendite suddivise fra il Vescovo ed il Capitolo della Cattedrale di Cagli.
Da un documento del 1511 si deduce che la chiesa di S. Nicolò, pur esistendo ancora come entità religiosa, era già in rovina ed abbandonata. I riti venivano officiati nella chiesa di S. Cristoforo di Colle Nudo (Via Stratta). Tutto lascia  pensare che la chiesa di S. Nicolò, non venne mai riparata e le sue condizioni peggiorarono, fino a crollare. Nel 1580, la chiesa parrocchiale di S. Cristoforo di Colle Nudo prese il titolo dei SS. Cristoforo e Nicola ed il parroco quello di priore dell’antico priorato camaldolese.

ORIGINE

La fondazione dell’eremo di S. Nicolò di Bosso, viene attribuita a S. Romualdo in quanto il santo, nello stesso periodo frequentava questa zona e a lui è attribuita già la fondazione di altri eremi: S. Salvatore delle Foci di Cagli e di S. Bartolo sulle pendici orientali del Monte Petrano. La continua fondazione di nuovi eremi era la conseguenza della sua continua ricerca di una vita solitaria. Data la sua fama di santo, le folle accorrevano nei luoghi in cui lui si trovava e questo lo costringeva a cambiare frequentemente di zona cercando luoghi impervi ed isolati.
Questa sua ricerca lo portò a esplorare, tra le tante, anche le vallate del fiume Burano e quella del Bosso, loghi ideali poiché, come già detto, rimanevano fuori dai collegamenti tra i vari centri abitati.
La conferma dell’attività svolta da San Romualdo alle pendici del Monte Petrano, la troviamo nella “Vita di San Romualdo” scritta da S. Pier Damiani.

Sorgente di San Nicolò
Nei pressi del luogo ove era ubicata la chiesa c’è una sorgente, ancora oggi chiamata “Fonte di San Nicolò”. L’acqua della sorgente, in passato, era ritenuta dotata di qualità terapeutiche molto efficaci per la cura delle malattie della pelle e vi si faceva ricorso per curare i bambini dalla scabbia e da altre malattie simili. Per maggiori informazioni si veda la scheda dedicata.

Riferimenti bibliografici

https://versacrumricerche.blogspot.com/p/leremo-di-san-nicolo-di-bosso.html
https://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/beni-storici-artistici/scheda/12332.html
“Pianello di Cagli – Viaggio nella storia di una vallata” di Gabriele Dromedari

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