Costanzo Felici

Costanzo Felici

Riscopriamo Costanzo Felici da Piobbico, botanico e medico del ‘500 tra i primi a divulgare l’importanza delle erbe a scopo terapeutico.
Costanzo Felici nacque da Felice e Camilla Bartolini, urbinate, fra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento a Piobbico, nell’alto Pesarese, «posto molto remoto», come lo definì egli stesso in una lettera ad Ulisse Aldrovandi del 12 febbraio 1562. Sul luogo di nascita ormai crediamo che non debbano più sussistere dubbi, tante sono le testimonianze prodotte a favore di Piobbico.
Le controversie del passato nacquero e furono alimentate sembrerebbe, ma non è, un paradosso proprio dal comportamento del Felici e da quello dei suoi concittadini. Egli infatti non amava il paese che gli aveva dato i natali, nel quale erano approdati i suoi antenati e dove aveva dei possedimenti, e che con i suoi monti con minerali, la sua vegetazione, la sua fauna gli aveva procurato tanto materiale di studio e tante soddisfazioni. La difficoltà delle comunicazioni era per lui il cruccio principale. Anche l’impossibilità di «haver su quelli monti un Depintore comodo» per spedire all’Aldrovandi «molte figure di piante» era per il Felici un ostacolo a trattenervisi più del necessario. Pur se si rende conto di avere lassù la possibilità «d’avertire molte altre cose» il suo pensiero, il suo amore è rivolto principalmente «alla città di Rimini che m’ha sempre abbracciato, accarezzato, favorito, et honorato in tutte l’occasioni».
Dopo la scoperta delle Americhe, si attiva un’attenzione a tutto campo nei confronti delle erbe da usare in cucina e, più, in medicina, come se dalle “Indie”, oltre all’oro e all’argento, potesse arrivare in Europa ogni panacea per i mali e le miserie dell’uomo.
È in questo contesto che Costanzo Felici di Piobbico esplora la geografia natia, Montefeltresca e Riminese, per riferire al naturalista Ulisse Aldovrandi, stimatissimo Rettore dell’Archiginnasio, notizie su arbusti, piante, uccelli, minerali e quanto potesse suscitare interesse di chi era lontano dalla terra di confine, poco nota e poco frequentata, tra Romagna e Marche.
Osservatore attento e curioso, poteva fornire indicazioni di prima mano su uomini, animali e cose, vivendo a diretto contatto con la gente e per il mestiere di medico e per le origini e ceto di cui godeva a Piobbico e dintorni. Con devozione, ma anche con confidenza, si firma ‘servitore e compare amorevole’, scrive all’Aldovrandi il 27 luglio 1563: “… in questi nostri monti nasce l’aquila regale o principale, di grandissimo corpo, di piuma negra, di acutissimo vedere, che vive solo di rapina e di canne caudata e fresca…”.
Altra lettera allo stesso destinatario porta la data del 1584, parte da Rimini: “… in codesti nostri paesi molto spesso si pigliano e ammazzano dei lupi…”.
Il Felici fu anche storico preciso e appassionato, pur mirando principalmente alla ricerca naturalistica. E dice: “Rubando il tempo a studi più gravi, aveva atteso alla lettione dell’Historia, per proprio utile e piacere”.
Ancora vivente, Costanzo Felici si meritò una onorevole citazione dal Sansovino nel 1582, quando l’illustre storico così iniziò la sua trattazione sui Montefeltro: «Ricercando io le cose di questa nobilissima e honorata famiglia: ebbi finalmente lume da Costanzo Felici da Castel Durante medico celebre e di molta fama, perciocché essendo egli molto cortese e pieno di officiosa humanità, porgendomi aiuto con la fatica sua mi istruì a pieno di questa casa, onde opera discortese sarebbe stata la mia, quando avessi taciuto questa amorevolezza sua così cara e gentile».
Recentemente il Maragi, studioso dell’Aldrovandi, si è occupato diffusamente del Nostro, affermando tra l’altro: «La sua relazione con l’Aldrovandi non solo è la più ricca, frequente e prolungata, ma contiene anche notevoli riferimenti a tutti gli altri «corrispondenti», per la conoscenza dei quali costituisce quindi valida fonte, permettendo altresì di darne un giudizio complessivo. Si tratta di una personalità ricca ed interessante. Esercitò la medicina pratica e al tempo stesso coltivò, con risultati tutt’altro che privi di valore, la vocazione per gli studi naturalistici, per la filosofia, per la letteratura e per la storia. Apparteneva a famiglia benestante, ascritta per merito suo al patriziato riminese, ed ebbe relazioni di parentela e di studi con personalità di rilievo nei campi della scienza e della pubblica amministrazione».
Uno studio pubblicato di recente è quello di Giorgio Nonni, dell’Università urbinate, con le preziose sessantuno lettere dell’Aldovrandi, in cui il Felici non elenca soltanto ma stende minitrattati sulla specificità dei ritrovamenti, contribuendo così ad una maggiore conoscenza della cultura delle province marchigiane dell’epoca. La scoperta delle “Lettere sulle insalate” e della “Lectio nona de fungis” in latino, in fogli autografi, avvenuta scandagliando il Fondo Aldovrandiano giacente nella Biblioteca dell’Università di Bologna, ha svelato un mondo che si credeva dimenticato.
Anche perché l’Aldovrandi aveva dato alle stampe due pubblicazioni, “Il calendario, ovvero Ephemeride historico”, l’anno, i mesi e i giorni per sottolineare le imprese degli uomini degni di particolare menzione. L’altro testo, edito sette anni dopo, è in aggiunta ad una traduzione stampata in Rimini nel 1584 di un trattato sulla fauna scandinava, dal titolo “Del lupo e virtù sue, e proprietà sue, così del tutto come d’ogni sua parte”.
Da studiare ancora molte carte feliciane come lo “Studio sulle insalate e verdure alimentari”, “Lettere sulle olive e sul loro uso commerciale”, una lezione di micologia e altri inediti di disparato argomento.
Le “Lettere”, un cardine della letteratura naturalistica, ci elencano un catalogo di erbe commestibili, di cui si è persa ogni traccia, per quel dissennato intervento sui terreni votato alla monocoltura e all’abbandono dei campi.
Ogni erba è stata chiamata per nome, in volgare e in latino, e, con acuta competenza, anche il ruolo da svolgere in cucina.
Un discorso a parte meriterebbe la “Lectio nona de fungis” che il medico di Piobbico ha consegnato agli studiosi, e non solo, sulle caratteristiche dei funghi, con estese e complete indicazioni sull’uso di cucina e sulle applicazioni terapeutiche per acquietare alcuni malanni.
Curioso il modo di raccontare i siti di allignamento e le forme, segno di una testimonianza diretta, come è curioso il riferimento storico con rimandi a certe usanze dei romani antichi che utilizzavano “il fungo” per sbarazzarsi degli avversari. Un’arma.
Bizzarra è la genesi del fungo ipogeo, il nostro tartufo bianco (Tuber magnatum Pico). Nasce dove hanno fatto l’amore i cervi, dove il terreno riceve il seme del maschio durante l’accoppiamento perché la femmina si sottrae all’impeto dell’assalto.
Questa spinta confidenza non aveva il supporto dell’osservazione diretta; tra l’altro il Felici non conosceva il tartufo. La storiella, come tante altre di seconda mano, non gli era parsa verosimile nonostante la citazione del grande Pietro Andrea Mattioli.

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