Cipriano Piccolpasso

Cipriano Piccolpasso, nacque nel 1524 a Casteldurante (Urbania), piccolo centro delle Marche dove da tempo si esercitava l’arte ceramica. Era il maggiore di cinque figli di ser Michele Piccolpasso (o Piccolpassi), notaio e ‘uomo d’arme’, di nobile e ricca famiglia bolognese.
Le prime attestazioni che possediamo riguardano gli studi compiuti. Nella città natale Cipriano studiò probabilmente grammatica, poi legge e medicina a Bologna dove risiedevano alcuni parenti, e fece molti viaggi, visitando Venezia, Foligno, Ferrara, Faenza, Gubbio, Verona, Rimini e Genova.
A Padova, entrò in contatto con Pietro Bembo e fu paggio del patriarca alessandrino Cesare Riario Sforza; dal 1538 al 1540 frequentò il famoso Studio patavino. La morte prematura del padre Michele, nel 1540, lo dovette richiamare a Casteldurante, dove la sua presenza è documentata da quell’anno fino al 1558. Al Foro e alla scienza medica preferì lo studio dell’architettura militare, che nel ducato d’Urbino vantava una scuola di insigni matematici e architetti militari. In qualità di architetto militare fu al servizio di tre papi: Paolo IV, Pio IV e Pio V. Il 1° maggio del 1558, a 34 anni, venne eletto provveditore della fortezza Paolina di Perugia, in sostituzione dello zio Bernardino che, dopo essere rimasto per dodici anni castellano della stessa fortezza, era morto a Forlì.
Il periodo trascorso a Perugia fu indubbiamente il più interessante della vita di Cipriano. In qualità di provveditore militare sovrintese a molti lavori sia in città sia in altri luoghi della regione, e a molte fortezze dello Stato della Chiesa, sino alle coste pontificie dell’Adriatico, da Ravenna a S. Benedetto del Tronto, per difendere il territorio pontificio dalle scorrerie dei turchi.
La giovinezza itinerante e l’attività operosa lo tennero lontano dai legami coniugali, ma in età matura, forse intorno al 1566, sposò Francesca Honorati di Serra de’ Conti, di ottima famiglia di Jesi.
Qualche anno dopo, tra il 1572 e il 1574, gli furono rivolte accuse che gli amareggiarono gli ultimi anni di vita. A Perugia, nel 1575, ebbe guai molto seri, forse di carattere finanziario o per una rissa con Leandro de’ Sozi, uno studente di nobile famiglia perugina che lo aveva ripetutamente dileggiato. Per sentenza ducale, Piccolpasso non soltanto fu destituito dall’impiego, ma anche bandito dalla città e da tutta l’Umbria. Gli ultimi quattro anni della sua vita li passò nella sua città natale, Casteldurante, dove, dopo breve malattia, morì il 21 novembre 1579.
Fu anche poeta e dotto autore di interessanti lavori. Scrisse il “De nativitatibus”, trattato astronomico o astrologico, ora perduto, ma ancora custodito a Urbania agli inizi del XIX secolo; il trattato “Le piante et i ritratti delle città e terre dell’Umbria sottoposte al governo di Perugia”, del quale esistono tre manoscritti autografi, sulle città e i castelli dell’Umbria, corredato di bellissimi disegni a penna, probabilmente realizzato quando, tra la fine del 1575 e il marzo del 1578, era stato nominato castellano della fortezza di Massa Carrara, e che permette di ricavare una gran quantità di notizie biografiche. Oltre ad altri scritti storici e accademici di minor conto, celebre è l’opera “I tre libri dell’arte del vasajo”, trattato manoscritto intorno all’arte della maiolica, nella quale era edotto un po’ per merito del fratello Fabio, maiolicaro, un po’ per essere nato in una città famosa in quell’arte. Si è pensato che Piccolpasso sia stato spinto a mettere per iscritto i segreti della maiolica per accondiscendere alle preghiere rivoltegli dal cardinale François de Tournon, arcivescovo di Lione che soggiornò a Casteldurante tra il 1556 e il 1557; tuttavia, se presumibilmente fra il 1556-57 e il 1562 – l’anno 1548 indicato nella prima carta del manoscritto è spurio – il cavaliere durantino scrisse l’opera, non si può escludere che egli abbia voluto dedicarla alla principessa Vittoria Farnese, consorte di Guidobaldo II duca d’Urbino dal 1548.
I Libri sono corredati di oltre centottanta disegni didascalici di bella qualità, in cui si descrive con precisione di dettagli il processo di fabbricazione della maiolica, la preparazione delle paste, degli smalti, dei colori, la cottura e la decorazione, quest’ultima esemplificata da magnifiche tavole sulle decorazioni più in uso a quel tempo. Il manoscritto (in tre volumi) restò presso di lui fino alla sua morte, sopraggiunta mentre ne stava curando la pubblicazione. Rimasto poi di proprietà della famiglia, passò ai papi di Urbania (già Casteldurante), e verso la metà del Settecento sappiamo che era in esame al cardinal Giovanni Francesco Stoppani legato di Urbino e al suo uditore Giovan Battista Passeri, che lo utilizzò largamente per la sua “Istoria delle pitture in majolica fatte in Pesaro e ne’ luoghi circonvicini”, edita in Venezia nel 1758. Dopo varie vicende fu acquistato nell’inverno 1860-61 da John Charles Robinson, conservatore del Victoria and Albert Museum di Londra, nella cui Biblioteca tuttora si conserva. Prima che l’opera lasciasse l’Italia, erano state cavate alcune copie più o meno fedeli: una di queste servì per la prima edizione a stampa, pubblicata a Roma nel 1857, ottenuta proprio dall’originale per volontà di Giuseppe Raffaelli e di monsignor Bonifazio Cajani, vescovo di Cagli. Tale edizione servì a sua volta per l’ottima stampa parigina del 1860, curata dell’architetto Claude Popelin, cui seguì una seconda italiana, stampata a Pesaro nel 1879, a cura di Giuliano Vanzolini. Successivamente ne furono pubblicate varie altre, tra le quali si possono ricordare quella di Londra del 1934, di Firenze del 1976, fino ad arrivare a un’ultima del 2007, facsimile del manoscritto conservato nel citato Museo inglese, con ottime introduzioni e una trasposizione in italiano moderno a cura di Carola Fiocco e Gabriella Gherardi.

Un’opera considerata curiosa quella del misterioso personaggio che si nasconde dietro il nome di cavaliere, o cabaliere dato il suo carattere cabalistico, Cipriano Piccolpasso. Fin dalla prima pagina pone allo studioso attento seducenti analogie con l’opera positiva al forno. Nel sottotitolo la chiave di tutto:

”Nei quai si tratta non solo la pratica
Ma brevemente
Tutti gli secreti di essa
Cosa che persino al dì d’oggi
E’ stata sempre tenuta ascosta”

Ma quali sono i secreti cui allude il nostro autore? Il suo trattato è pieno di simboli ed allusioni ermetiche, che poco hanno a vedere con la semplice descrizione della pratica artigianale e rivelano una sua affiliazione ermetica. D’altronde, nel prologo il Piccolpasso precisa di non avere gran competenza nell’arte della ceramica ed è probabilmente proprio per questo motivo, che egli si sentì libero da quel patto di segretezza, che riconosce esistere ai suoi tempi.

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